Philipe Renard
“Io” è una porta
(Nisargadatta Maharaj)
3ème Millénarie n. 73 – Traduzione della Dr.ssa Luciana Scalabrini – seconda parte
“Non c’è che un solo stato, non due. Quando lo stato “Io sono” è presente, conoscerete molte esperienze, ma l’ “io sono” e l’Assoluto non sono due. Nell’Assoluto lo stato di “Io sono” sopravvive e allora accade l’esperienza”.
Potremmo dire che “lasciarsi intrattenere
dalla Seduttrice” equivale a dare peso al vostro passato, alla potenza delle
vostre tendenze, ai vasana,
invece di sopportare la sofferenza di non oltrepassare la forma presente, il
“contatto attuale”.
La natura d’attaccamento del principio “Io
Sono” si situa nella creazione della storia personale, la creazione di un
“corpo sottile”, un’immagine “Io”, una forma che deve persistere. La forza
d’attaccamento stessa potrebbe essere chiamata il “corpo causale”, un deposito
contenente tutte le nostre tendenze latenti e il primo inizio dell’individualità. Il “corpo causale”
definisce il principio che è in noi, ora, la casa della creazione della forma,
che ci seduce per il mantenimento e il consolidamento di quella forma. Ci
seduce non riconoscendo la forma come la “pura forma attuale della Coscienza”
che muore a ogni istante e immediatamente rinasce in un’altra forma. E’ il significato
del termine “corpo causale”. Il corpo causale vi fa perdere la visione che
siete sempre nuovi, non-nati, ora, ora, ora. E questa “perdita” succede
attraverso l’intermediazione delle tendenze latenti che, fintanto che esistono,
vi adattano alle forme, mantenute in modo da far penetrare l’esistenza della
forma. Per la sua natura che vela la realtà, e per l’attaccamento, il corpo
causale è assimilato, nella tradizione Advaita,
all’ignoranza ( ajnana o anche avidya ).
Molto influenzato nella sua semantica dalla
tradizione Samkhya,
antica scuola indiana dualista, Nisargadatta, per spiegare come nasce
l’attaccamento, usa a volte i termini sattva, rayas e tamas, tutti influenzati dal Samkhya. Sono i tre gunas,
qualità che colorano e determinano ogni nostra azione: rayas è l’agitazione, che spinge
all’attivit, tamas l’inerzia, il solido, lo scuro, sattva l’equilibrio, la conoscenza, la lucidità.
Potremmo vedere il carattere originale di rajas come piuttosto
libero. Non ha infatti, per se stesso, nessun bisogno di assestarsi in
qualsiasi cosa. E’ sotto l’effetto di tamas che tutto si coagulerà. Questa qualità ci rende
rigidi, è la causa dei nostri attaccamenti, del nostro isolamento, delle nostre
preoccupazioni, ecc. Il nostro attaccamento a una storia personale è dovuto a tamas, storia sovrapposta ad un’attività
spontanea.
Il consiglio di Nisargadatta potrebbe
essere interpretato così: non potete
fare niente altro che lasciare apparire rajas, perché è proprio quello dell’energia di creazione
spontanea. Accoglietela e continuate a riconoscere il punto di partenza, il
primo “contatto”, che lui chiama una “puntura di spillo”. Questo è sattva,
l’esperienza del contatto, la coscienza. Ho chiamato questo l’apertura della
fonte: in questo posto, siete testimoni del matrimonio di sattva e tamas. State nel silenzio (sattva) e nella
splendente energia.
Dedicandovi a questo, onorando questa
puntura di spillo, questa “coscienza”, la vostra ricerca cessa d’esistere. A
quel punto, lasciate che il “fare” vi abbandoni, così come il tentativo di
passare al di là di quella coscienza, perché realmente non può esservi d’alcun
aiuto.
“Non potete mai separarvi da quella
coscienza, a meno che la coscienza non sia soddisfatta di voi e si sbarazzi di
voi”.
La coscienza apre le porte per permettervi
di andare al di là della coscienza. Ci sono due aspetti: uno è la coscienza
concettuale, dinamica, piena di concetti, l’altra è la coscienza trascendente
in cui anche il concetto “Io sono” non
c’è più.
Il Brahman
qualitativo, concettuale /Saguna Brahman),
quello pieno di concetti e di qualità, è generato dal riflesso della Coscienza
(Nirguna Brahman) nel corpo nel suo funzionamento.
Anche se alla partenza è importante e
giusto distinguere tra la coscienza relativa (chetana) e la Coscienza (chit), a un certo momento ci si deve aprire alla coscienza
in quanto “contatto”. Tutte le resistenze allora si dissolvono e con loro ogni
dualità. Il contatto è l’Assistente che vi consacra nel vostro abbandono e nel
Suo abbandono. Vi mostra che siete sempre stati non contaminati e non alterati,
liberi e non separati, senza bisogno di mettervi alla ricerca.
Così da una parte Maharaj insiste “Io, l’
Assoluto non sono lo stato “Io sono”, ma d’altra parte si trova la
“comprensione che questo Io non ne è diverso, su livelli differenti”. E così
l’Assoluto è l’Io che si manifesta nella forma. Lo stesso Io Assoluto diventa
l’Io manifesto e l’Io è la coscienza, sorgente di ogni cosa. L’Assoluto-con-coscienza si situa nello stato manifesto.
In modo sorprendente, qui come in altri luoghi, Maharaj insiste nell’usare la parola Io per designare l’Ultimo. In più chiama se stesso molto spesso “Io, l’Assoluto” e dice molto sovente: “Non esiste niente fuori di me. Sono solo a esistere” e “quando lo stato d’esistenza è totalmente ingurgitato, ciò che resta è l’Io eterno”.
Così Io è adeguato a tre livelli: la persona pensa e prova “Io”,
il contatto con lo stato d’essere e l’esperienza dell’Io senza pensiero (senza
“mio”), e l’Ultimo è “Io” senza esperienza di questo-qui.
Questo implica che la Realtà che siamo, sempre presente in quanto tale, c’è già
ora. Di conseguenza, nel seno stesso di un’ identificazione in una forma si
trova un invito a riconoscere il più vicino, cioè Io nella sua natura
essenziale.
“Io” è una porta? L’insegnate risponde:
“Figlio caro, non c’è porta per entrare nel Parabrahaman”